Ultima modifica: 24 Aprile 2016

L’antico Egitto

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Con Antico Egitto si intende la civiltà sviluppatasi in quella sottile striscia di terra fertile che si distende lungo le rive del Nilo a partire dalle sue cataratte al confine col Sudan fino allo sbocco nel Mediterraneo, e riconosciuta come entità statale a partire dal 3100 a.C. fino al 31 a.C., quando ci fu la conquista romana.

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Le tracce di insediamenti lungo il Nilo sono molto antiche e si calcola che l’agricoltura (in particolare la coltivazione di grano e orzo) abbia fatto la sua comparsa in quelle regioni intorno al 3500 a.C.

 Proprio la presenza del fiume, che rende possibile la vita in una regione peraltro desertica, è il motore primo del precoce nascere della civiltà urbana e del suo persistere quasi immutata, ai nostri occhi, per quasi tremila anni. Le acque del Nilo, con le loro piene annuali, non portano solo fertilità ma anche distruzione se non vengono costantemente controllate, imbrigliate, incanalate, conservate per i periodi di siccità; ed è proprio da questo motivo che nasce la necessità di uno stato organizzato, uno stato che garantisca la manutenzione di quelle strutture da cui dipende la sopravvivenza di tutti.

La necessità di avere una struttura statale per la gestione delle opere (dighe e canali) collegate con le acque del Nilo, ha portato alla formazione di uno dei primi Stati della storia, nel 3300 a.C. Infatti questa esigenza fece sì che le tribù neolitiche imparassero a vivere prima sotto l’autorità di capi locali (fase della formazione dei distretti o nomos). I vari nomos si scontrarono e si allearono tra loro, nell’arco di circa un millennio, fino a formare due regni, l’Alto Egitto a Sud (costituito dalla parte meridionale della valle del Nilo) ed il Basso Egitto a Nord (costituito principalmente dal delta del fiume), che vennero unificati nel 3000 a.C. in un solo impero da Menes (da identificarsi probabilmente con il sovrano egizio Narmer), re dell’Alto Egitto, che inaugurò le trenta dinastie dell’Antico Egitto. Tra i monumenti più famosi dell’Antico Egitto vi sono sicuramente le piramidi, tombe di sovrani dalla III alla XII dinastia. Le piramidi più famose si trovano presso Giza, vicino alla città moderna del Cairo. La loro imponenza testimonia la potenza dello Stato e l’importanza delle credenze religiose riguardo all’oltretomba. La Grande Piramide, la tomba del sovrano Khufu (conosciuto anche come Cheope), è l’unico monumento sopravvissuto delle sette meraviglie del mondo antico.

L’antico Egitto raggiunse l’apice della sua potenza ed estensione territoriale nel periodo chiamato Nuovo Regno (1567 a.C.-1085 a.C.), quando i confini dell’impero andavano dalla Libia all’Etiopia al Medio Oriente. L’antico Egitto conobbe anche momenti di debolezza e di polverizzazione del potere come avvenne nei tre Periodi Intermedi, nel secondo dei quali l’Egitto cadde sotto il controllo dei dominatori detti Hyksos. Cronologia La storia egiziana è suddivisa in differenti periodi. Le date degli eventi sono ancora oggetto di studio. Molte di esse sono state ricavate interpolando dati storici, archeologici e astronomici. Sin dall’antichità furono stilati diversi cataloghi delle dinastie che si susseguirono in Egitto. Periodo predinastico (precedente al 3200 a.C.) Periodo arcaico (I – II dinastia) (3150 a.C. – 2700 a.C.) Antico Regno (III – VI dinastia) (2700 a.C. – 2160 a.C.) Primo periodo intermedio (VII – X dinastia) (2160 a.C. – 2055 a.C.) Medio Regno (XI – XII dinastia) (2055 a.C. – 1790 a.C.) Secondo periodo intermedio (XIII – XVII dinastia) (1790 a.C. – 1540 a.C.) Nuovo Regno (XVIII – XX dinastia) (1530 a.C. – 1080 a.C.) Terzo periodo intermedio (XXI – XXV dinastia) (1080 a.C. – 672 a.C.) Periodo tardo (XXVI – XXX dinastia) (672 a.C. – 343 a.C.). Periodo Predinastico Con Periodo predinastico dell’Egitto si intende la fase precedente alla formazione dello stato unitario egiziano. La fase comincia indefinitamente nella preistoria e arriva fino al 3100 a.C., il paese è suddiviso nei due regni del Basso Egitto e Alto Egitto.

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 Le prime comunità agricole si stabiliscono presto nel Delta del Nilo e nell’oasi del Fayyum, subendo nel Basso Egitto un’eccezionale sviluppo, che porta, dalla metà del V millennio, alla nascita delle prime città. Secondo alcuni studiosi, lo sviluppo delle attività legate all’agricoltura ha permesso un’enorme crescita demografica; secondo altri, invece, è la crescente pressione demografica a portare ad uno sviluppo dell’agricoltura. Aumenta anche la ricerca delle risorse minerarie del Medio e dell’Alto Egitto, soprattutto oro, da parte di coloni che adorano già Osiride e Horo, provocando al contempo un conflitto con le popolazioni meridionali che adorano Seth. Gli adoratori di Horo e quelli di Seth si scontrano dunque e sono i primi a vincere. Si forma così un primo nucleo di regno, con capitale la città di Ieraconpoli. L’Egitto è ora diviso in Alto e Basso Egitto, due regni distinti e separati. Periodo Arcaico (I – II dinastia) Con Periodo Arcaico o Periodo Thinita (dal nome della città di Thinis forse mutuato sul culto della dea Tanit, probabile città natale dei primi sovrani, Narmer compreso, e capitale della prima nazione egizia unitaria, per poco tempo prima del trasferimento a Menfi (Menphi)[2]) si intende l’arco di tempo coperto dalle prime due dinastie egizie. Narmer (o Menes) L’Alto Egitto aveva come capitale la città di Nekhen, chiamata dai greci Ieraconpoli. Il re di questo territorio adorava la dea avvoltoio Nekhbet e veniva raffigurato con un’alta corona bianca. Il Basso Egitto aveva come capitale Buto; il sovrano adorava la dea cobra Uto e cingeva una corona rossa, caratteristica di una dea del delta, Neith. Secondo le antiche leggende l’Alto Egitto, guidato dal dio Horo, sottomise il Basso Egitto, unificando tutto il territorio. Il sovrano del regno del Sud assunse da allora nella sua persona i simboli di entrambi i poteri e cinse la doppia corona. Paletta di Narmer La tradizione attribuiva il merito dell’unificazione dei due regni a Menes, identificato col faraone Narmer. Studi recenti, tuttavia, associano Menes al suo successore, Aha, re della I dinastia. Narmer e Scorpione, altro re del quale sappiamo molto poco, appartengono a quella che gli studiosi hanno battezzato “dinastia 0”, che avrebbe regnato tra il 3200 e il 3065 a.C. Il nome di Narmer fu il primo ad apparire in un serej, uno dei simboli più antichi della regalità. L’unificazione fu ottenuta con una sola battaglia, così come sembra mostrare la cosiddetta “tavolozza di Narmer”. Il processo fu lento e comportò prima l’unificazione culturale, e solo più tardi quella politica. L’unificazione dei due regni fu il prodotto di numerose battaglie, come dimostrano le diverse tavolozze del Periodo predinastico che sono giunte fino a noi. I nemici non erano solo gli abitanti del Delta, ma si combatteva anche contro le tribù beduine o i Nubiani, riconoscibili dalle diverse acconciature e dalla barba. Una volta conseguita la vittoria, l’Egitto stabilì la propria capitale a Menfi, una città nuova, che sarebbe stata fondata dal successore di Narmer. Il nuovo Stato adottò simboli dei due regni, unì le due corone e fece del serpente e dell’avvoltoio le due divinità protettrici del faraone. Narmer fu sepolto nell’Alto Egitto, nella necropoli reale di Abido. La sua tomba, con una camera doppia, una per il defunto e l’altra adibita a magazzino, è una delle più antiche della necropoli. In questo periodo storico compaiono le tombe a mastaba, ossia coperte da una struttura a forma di gradone che sovrasta la camera funeraria. Scarse sono le notizie sugli avvenimenti storici del periodo; alcune iscrizioni lasciate in occasione di spedizioni militari sono la prova dell’interesse per la regione del Sinai. Con maggior sicurezza abbiamo notizie sui traffici commerciali con Byblos, grazie al ritrovamento in questa città di resti di stoviglie con iscrizioni geroglifiche. Già in epoca arcaica l’Egitto importa da Byblos i tronchi di cedro usati nelle costruzioni, essendo esso privo di alberi con un legno adatto ad essere ridotto in tavole. Dal punto di vista archeologico di questo periodo ci rimangono soprattutto sepolture, quasi sempre saccheggiate, e frammenti di statue, stele e false porte provenienti da cappelle funerarie. Per quanto riguarda invece le strutture civili (abitazioni, palazzi) non rimane praticamente nulla soprattutto per la deperibilità dei materiali utilizzati (mattoni di fango, legno, canne). Antico Regno (III – VI dinastia) Fin dalle prime dinastie il re si afferma quale dio in terra, con la precisa funzione di conservare maat “l’ordine”, il sistema, anche cosmico, che da lui dipende. Da qui deriva il regime faraonico, autocratico per diritto divino, che accentra ogni funzione dello stato sul re e che, sia pure con alternative e variazioni, si mantenne tale sino alla fine della civiltà egiziana. L’affermazione del dogma faraonico ha la sua massima espressione nell’Antico Regno e precisamente nella IV dinastia, quando possiamo prendere a simbolo della straordinaria autorità regale e dell’accentrato interesse sociale sul faraone in questo periodo le piramidi, cioè i monumenti funerari dei faraoni di quella dinastia: Cheope, Khefren e Micerino.

Cheope

Cheope, nato da Snefru e da Eteferi, figlia dell’ultimo faraone della III dinastia, fu il secondo faraone della IV dinastia e il grande artefice dell’unificazione territoriale e di un periodo di notevole prosperità per l’Egitto. Le notizie sulla sua vita e sul suo regno sono contraddittorie: infatti, secondo la tradizione, tramandataci dalla storiografia greca antica, Cheope fu un faraone crudele e spietato; i testi a lui contemporanei, invece, ce lo descrivono come un riformatore, capace di accrescere il potere reale. Durante il suo regno, Cheope avviò all’interno del Paese numerose riforme, destinate ad accrescere il suo potere. Affrontò innanzitutto il riordino dell’amministrazione dello Stato ponendovi a capo il visir che in questo modo assunse un ruolo di primissimo piano, ben al di sopra di tutti gli altri funzionari statali e molto vicino alla famiglia reale: il faraone ottenne così, come primo risultato, quello di aumentare il controllo su tutti i funzionari. In ambito religioso, limitò i privilegi dei sacerdoti e dei templi, scegliendo, inoltre, i sommi sacerdoti delle principali divinità tra i membri della sua famiglia. Per quanto riguarda la sua vita privata, Cheope si sposò tre volte e da queste unioni nacquero tre figlie e sei figli, quattro dei quali gli successero al trono. In politica estera, il suo regno fu caratterizzato dalla convivenza pacifica con i popolo vicini; le uniche spedizioni al di fuori dei confini del Regno, verso il Sinai e la Nubia, furono effettuate con lo scopo di approvvigionarsi di minerali. Per preparare il suo passaggio nell’oltretomba, diede l’avvio alla costruzione di una monumentale opera, che finì per oscurare tutte le altre: nacquero così la Grande Piramide e il complesso funerario che la circonda, destinato ad accogliere parenti e funzionari.ii Chefren Chefren fu un faraone della IV dinastia, quella di Cheope. Era appunto il figlio del famoso faraone. Dopo la morte di quest’ultimo Chefren combatté contro il fratello Kheper per la successione. Naturalmente vinse Chefren, perché altrimenti non sarebbe stato faraone. Il suo regno durò per 20 anni. Le sue opere Chefren costruì certamente alcuni templi, ma le strutture per cui va più famoso sono due: La sfinge – La Sfinge rappresenta un leone con la testa del faraone Chefren.

 La Piramide di Chefren – La piramide che lui edificò è la più grande in assoluto, a parte quella del padre Cheope. È l’unica piramide con ancora la decorazione esterna Le piramidi Il fatto più noto relativo a questo periodo è la costruzione delle piramidi, imponenti monumenti funebri dei sovrani di questo periodo storico. La piramide fu, molto probabilmente un’evoluzione della mastaba, infatti quella che è considerata la più antica tra esse, la piramide a gradoni di Djoser non è altro che una serie di mastabe sovrapposte. A questa prima piramide ne seguirono altre, alcune abbandonate prima del termine della costruzione (probabilmente a causa della prematura morte del sovrano). Un esempio degno di nota è la piramide romboidale del faraone Snefru: a metà della sua edificazione, i costruttori preoccupati a causa del possibile cedimento della struttura (fatto già accaduto) decisero di modificarne l’angolo riducendolo. Il risultato è una strana piramide, la cui cima è improvvisamente inclinata. Le piramidi più famose sono le tre di cui non venne mai persa la memoria a causa delle loro dimensioni, queste sono i monumenti funebri di Khufu, il Cheope sopra citato, Khefren (a cui si deve anche la Sfinge) e Micerino. La piramide di Khufu, detta anche grande piramide venne considerata già dagli antichi una tra le sette meraviglie del mondo. La sfinge di Giza, sullo sfondo la piramide di CheopeOrmai tramontata la teoria, dovuta più che altro ai racconti di Erodoto, dell’utilizzo di migliaia di schiavi catturati in battaglia, per la costruzione delle piramidi è ormai accettato, abbastanza da tutti gli studiosi, che queste costruzioni siano state erette da operai specializzati, che vivevano nei pressi, aiutati durante la stagione dell’inondazione (periodo dell’anno in cui il Nilo allagava i campi rendendo impossibili i lavori agricoli) da contadini che, si dice, provenissero da tutto l’Egitto. Nel 1988 lo scienziato francese Joseph Davidovits ha proposto una controversa ma innovativa ipotesi sulla costruzione delle piramidi basata sull’idea che gli antichi egizi fossero in grado di sintetizzare dei geopolimeri utilizzando calcare, calcio, natron e argilla gettati all’interno di casserature costruite man mano sulla piramide. La teoria, la cui validità ancora oggi è oggetto di dibattito, ha il pregio di spiegare aspetti lasciati irrisolti da altre teorie precedenti (ad esempio come fosse possibile ottenere in cava blocchi dal peso di svariate tonnellate e perfettamente combacianti quando messi in opera, o come fosse possibile nutrire la manodopera, che secondo Davidovits sarebbe stata di 1500 unità anziché numeri molto più grandi secondo le precedenti teorie). Complessivamente si contano più di cento piramidi, tra grandi e piccole, sebbene solo una piccola parte sia tuttora in discrete condizioni. Nelle sepolture risalenti a questo periodo sono stati rinvenuti i primi esempi di tecnica di imbalsamazione. I faraoni, figli di Ra Secondo un racconto popolare conservatoci nel cosiddetto “papiro Westcar”, i primi tre re della V dinastia sarebbero stati figli della moglie di un sacerdote di Ra, il dio solare di Eliopoli, e dello stesso dio Ra: seppure coi colori della novella popolare, il testo è interessante e altri elementi documentari confermano che realmente l’avvento della V dinastia segna un cambiamento, una crisi anche religiosa che si presenta con lo spostare l’importanza sul dio di Eliopoli e con l’edificazione di templi “solari” dei quali l’elemento principale è un obelisco su una piattaforma. Un ulteriore mutamento dinastico portò il faraone Teti sul trono, iniziando così la VI dinastia, ultima dell’Antico Regno. Rapporti con i popoli vicini In questo periodo grandi spedizioni commerciali e militari sono inviate in Nubia e in Libia, mentre i rapporti con l’Asia sono assai limitati, eccetto quelli con Byblos, e non hanno comunque scopi imperialistici ma si limitano a scambi commerciali. Dal commercio esterno arrivava in Egitto dalla Nubia l’oro, con avorio e altri prodotti esotici, dal Sinai rame in grande quantità, mentre le spedizioni commerciali in Fenicia procuravano legname, specialmente legno di cedro. Primo Periodo Intermedio (dinastie VII, VIII, IX, X) Con il desiderio d’indipendenza della nobiltà si ha il decentramento, la provincializzazione che caratterizzano i momenti di crisi del potere faraonico. Alla fine della VI dinastia, col lunghissimo regno di Pepi II, termina l’Antico Regno: allora in Alto Egitto sorge una potente nobiltà provinciale, le terre che erano state unicamente proprietà regale vengono frazionate, sempre più larghi privilegi sono concessi ai templi e ai sacerdoti mentre le risorse della cassa regia si esauriscono. Si arriva così al periodo turbolento, uno dei più oscuri della storia egiziana, che è il Primo periodo Intermedio, scarso di testimonianze contemporanee e che giunge fino alla X dinastia. Un periodo di disagio In quest’epoca tutto il paese è in disordine: un testo letterario del periodo, le Lamentazioni di Ippuwer, danno un quadro fosco delle condizioni del paese in questo momento, in cui nomadi beduini si sono infiltrati nel Delta, e dovunque in Egitto sono lotte fraterne, rivolgimenti sociali, depredazioni, miseria: “I ricchi sono in lutto, i poveri sono pieni di gioia; ogni città dice: Scacciamo i potenti che sono fra noi!”. Grandi e piccoli dicono: “Vorrei essere morto!” e i piccoli bimbi dicono: “Non mi avessero mai messo al mondo”. Davvero il deserto è nel paese, i nomi sono distrutti; gli stranieri sono venuti in Egitto da fuori. Si mangia erba e ci si abbevera d’acqua e non si trovano né grano né erbaggi da uccelli: si prendono i rifiuti dalla bocca dei porci e non si dice: “Questo è meglio per te che per me”, a causa della fame. Ecco, i possessori di vesti preziose sono in cenci, ma chi non tesseva per sé ha ora lini fini. Ecco, chi non si costruiva un battello, ora possiede navi: il proprietario guarda, ma non sono più sue. Ecco, i poveri del paese son diventati ricchi, chi possedeva è ora uno che non ha nulla”. Di questi disordini Ippuwer individua la causa principale nella debolezza del faraone, che rimprovera per la sua noncuranza, giudica il sovrano non all’altezza della sua funzione, questo mostra quanto sia scaduto il concetto di re-dio che era stato alla base del periodo precedente. Alla fine del primo periodo intermedio, essendo le province tornate alla condizione di piccoli stati indipendenti, si formano dinastie di principi locali, con diritto ereditario al potere, che datano i monumenti coi loro anni, reclutano truppe, e non esitano ad assumere titoli e prerogative reali. La fine di questo periodo è particolarmente felice per la società, nella quale torna sovrana la giustizia, il maat, tanto a lungo elogiato dai monarchi dell’Antico Regno. Medio Regno (dinastie XI, XII) Verso il 2040 a.C. finisce il primo Periodo Intermedio: il principe Mentuhetep riesce a riunire l’Egitto sotto il proprio potere e diventa fondatore dell’XI dinastia: nessun dubbio che lui e i suoi successori abbiano dovuto penare per riorganizzare l’Egitto, ostacolati dalle tendenze indipendentistiche radicatesi nei nomarchi provinciali, ma alla fine riescono a controllare l’intero paese e a ottenere un concentramento del potere politico a Tebe, la nuova capitale. Nella riconquistata unità nazionale, l’Egitto è in grado di riprendere il controllo in Libia e in Nubia, sfrutta di nuovo le sue risorse minerarie e riallaccia il commercio con la Siria. L’ultimo sovrano della XI dinastia è soppiantato dal suo visir, Amenemhat, che con il nome di Amenemhat I inizia la XII dinastia, con cui si apre il Medio Regno. La nuova dinastia s’impone ai sudditi, priva com’è di legittimi diritti al trono non può appoggiarsi infatti su diritti divini, con argomenti umani, utilizzando abilmente una propaganda capillare condotta anche attraverso testi letterari. L’avvento del fondatore della dinastia è presentato, in un testo letterario, ispirato alla stessa volontà regale, la cosiddetta “Profezia di Neferty”, come il compiersi di una profezia, emessa nell’Antico Regno, che prometteva il risollevamento dell’Egitto dal disordine. La capitale viene spostata da Menfi alla nuova città di Ity Tawy (Dominatrice delle Due Terre) appositamente fondata nella regione del Fayum anche se il centro del potere si trova nel sud a Tebe. Sesostri I Scultura raffigurante il faraone Sesostri IIl regno di Sesostri I come unico sovrano inizia in modo cruento, con l’uccisione di suo padre Amenemhat I, ma dal momento che il defunto faraone ha governato insieme al figlio per dieci anni, la successione non crea problemi. Durante il regno del padre, Sesostri si è occupato delle questioni militari. Amenemhat viene assassinato infatti proprio mentre lui era nel deserto libico al comando di una spedizione contro le tribù nomadi. Ricevuta la notizia, Sesostri si dirige rapidamente verso la capitale dell’Egitto e si fa incoronare nel 1962 a.C. controllando così la situazione. Secondo una leggenda lo stesso Amenemhat, sotto forma di spettro, consiglia al figlio di non fidarsi troppo delle persone che lo circondano. Il nuovo re governa insieme al figlio Amenemhat II. Prima di morire fa costruire una piramide, a el-Lisht, in cui viene sepolto. Il regno di Sesostri si caratterizza per la politica interna volta a potenziare al massimo la regione di el-Faiyum, continuando in questo modo la linea politica tracciata dal padre. Economicamente il faraone continua lo sfruttamento delle cave di marmo e garantisce il controllo delle miniere d’oro nella zona meridionale. A Nord il faraone guida spedizioni contro le tribù nomadi e mantiene contatti commerciali col porto di Ugarit. La maggior parte degli edifici costruiti da Sesostri non è arrivata ai nostri giorni. Grazie alla sua politica e a quelli dei suoi successori, l’Egitto conosce così un grande periodo di tranquillità economica e politica. Secondo Periodo Intermedio (dinastie XIII, XIV, XV, XVI, XVII) Il secondo periodo intermedio comprende le dinastie XIII, XIV, XV, XVI e XVII. Da un punto di vista cronologico questa fase della storia egizia copre il periodo dal 1790 a.C. al 1530 a.C. L’invasione degli Hyksos Il Medio Regno è per l’Egitto antico uno dei migliori periodi della sua storia, sotto l’aspetto politico, economico ed amministrativo; ma subito dopo la morte di Amenemhat III si verifica un declino della prosperità e del prestigio del paese. Durante questo nuovo periodo di decadenza, il Secondo Periodo Intermedio, un’apparenza di potere centrale continuò nella XIII e XIV dinastia, ma sempre più indebolito e limitato alla regione meridionale dell’Egitto. Infatti, dopo un lungo periodo d’infiltrazione, lenta ma costante, il Delta e anche l’antica capitale dell’Egitto, Menfi, finisce con il cadere nelle mani degli Hyksos, una commistione di differenti genti asiatiche, semiti in prevalenza, ma la cui classe dirigente era probabilmente formata da elementi khurriti, che stabilirono la loro capitale nel Delta Orientale, ad Avaris, l’attuale Tell el-Daba, dove scavi recenti hanno portato novità storiche e archeologiche, come gli stretti rapporti con la Creta minoica. Questi dominatori di cultura inferiore, assimilarono la civiltà egiziana e, probabilmente impiegando largamente funzionari egiziani, amministrarono il paese con metodi non oppressivi e non dovettero essere malvisti dai loro sudditi, nonostante i foschi colori con cui la contro-propaganda tebana descrive quel periodo. L’Egitto deve agli invasori almeno la conoscenza dei cavalli e dei carri da guerra, fino ad allora ignoti in Egitto. Sotto gli ultimi re hyksos, Kamose, un sovrano di Tebe della XVII dinastia, decise di attaccare gli stranieri: è il primo segno storicamente certo di un tentativo di cacciare dal delta gli invasori. Della sua “guerra di liberazione” Kamose ha lasciato testi ufficiali epigrafici. L’espulsione degli Hyksos avvenne però in maniera lente e graduale, con un lento indebolirsi del potere degli Hyksos.[3] Gli invasori furono scacciati in maniera definitiva solo con Ahmose, fratello e successore di Kamose: egli riuscì infatti a superare il delta e a giungere fino in Palestina dove, dopo un assedio durato tre anni, conquistò la città fortificata di Sharuhen, spazzando via definitivamente gli Hyksos[3]. In questo modo ebbe inizio la XVIII dinastia con la quale si aprì il Nuovo Regno. Nuovo Regno (dinastie XVIII, XIX e XX) Comprende le dinastie XVIII, XIX e XX e copre gli anni dal 1530 a.C. al 1080 a.C. L’Egitto ora è di nuovo riunito ed unificato: ha mostrato di saper combattere ed è pronto a un nuovo periodo di splendore. La Nubia viene ripresa, un nuovo senso di politica e di conquista spinge i sovrani della XVIII dinastia alla conquista militare della Siria e della Palestina, specialmente con Thutmose I, primo sovrano imperialista. Hatshepsut Dopo la morte di Thutmose I, gli succede al trono il figlio Thutmose II. Alla sua prematura scomparsa sale al trono la moglie di quest’ultimo, Hatshepsut che comincia il suo regno nel 1490, al fianco del nipote Thutmose III, ancora bambino, figlio del defunto faraone e di una concubina. Per sette anni la regina si è adattata a un ruolo politico secondario. Ma l’appoggio dei sacerdoti di Amon, del visir e degli architetti reali permette ad Hatshepsut di proclamarsi faraone, relegando Thutmose III ad altre attività di minore importanza. Riconosciuta come re, si fa rappresentare in aspetto maschile e adotta il protocollo faraonico, pur modificandolo leggermente. Hatshepsut avvia una vasta attività di costruzione a Tebe, dove spicca il suo tempio funerario a Deir el-Bahari. Per legittimare il suo potere si serve inoltre dei sacerdoti di Amon che, in cambio di una loro maggiore influenza, creano per lei il mito della teogamia. Il dio Amon, possedendo il corpo del faraone Thutmose I, si sarebbe unito alla regina e questa avrebbe concepito Hatshepsut. Con tale spiegazione si attribuisce dunque alla sovrana un’origine divina e quindi il diritto a governare come faraone. Sotto il suo mandato si compiono dunque spedizioni commerciali verso il sud, alla ricerca di materiali esotici come legno profumato o oro, e organizzate anche campagne militari che permettono di controllare la terza cateratta e di arrivare fino alla sesta. Tali spedizioni sono guidate da Thutmose III, che, nonostante il presunto odio verso la zia “usurpatrice”, non si solleverà mai contro di lei. Durante il regno di Hatshepsut si completano parte dei templi di Ermant e Karnak, si realizzano lavori di costruzione a Buhen e a Beni Hasan, dove la regina ha fatto erigere lo Speos Artemidos. Piena espansione L’Egitto, con il regno di Thutmose III ha raggiunto la sua massima espansione: l’impero comprende ora la Nubia e giunge in Asia fino all’Eufrate. L’impero era ben controllato, con funzionari egiziani e presidi militari; i rapporti con i sovrani asiatici di Babilonia, di Mitanni, di Cipro erano fitti e cordiali. Per il regno di Amenhotep III e per quello di Amenhotep IV siamo particolarmente bene informati grazie all’archivio della corrispondenza ufficiale con quei sovrani: le tavolette d’argilla coi testi accadici ritrovate a Tell el-Amarna. L’Egitto divenne il paese più ricco del mondo antico; ma l’oro che arrivava in Egitto, dalla Nubia e dall’Asia, in massima parte andava ad arricchire le casse dei templi; Amon di Tebe, al quale i sovrani consacravano gran parte del bottino, vede il suo sacerdozio divenire sempre più potente e il sovrano dipendere da quello. Akhenaton L’urto tra il potere del faraone e quello del clero di Amon porta a una crisi violenta e aperta nel regno di Amenhotep IV: i sacerdoti sono cacciati, i templi chiusi e particolarmente Amon e il suo clero sono perseguitati, mentre anche Tebe non è più la capitale. Amenhotep IV fonda una nuova città, Akhetaton (l’orizzonte di Aton) in onore del dio della nuova religione monoteista, Aton, il disco solare. Il faraone Akhenaton Il sovrano, che assume ora il nome di Akhenaton forma nuovi quadri amministrativi, sostituendo ai vecchi funzionari gente nuova, che non aveva una formazione amministrativa, ma che deve la sua posizione al fatto di aver abbracciato la nuova fede e di aver appoggiato il re nella sua riforma. Il dio di Akhenaton, di cui il sovrano è profeta, sacerdote e apostolo, poteva avere, in quanto culto puro dell’astro del sole, elementi di cosmopolitismo, come mostra bene un passo dell’Inno ad Aton probabilmente composto dallo stesso faraone: ”Come son numerose le tue opere, ciò ch’hai creato e ciò ch’è nascosto, tu, dio un unico che non ha eguale! Hai creato da solo la terra secondo il tuo desiderio, gli uomini, il bestiame e tutti gli animali selvaggi, tutto ciò che esiste sulla terra e cammina coi suoi piedi, tutto ciò ch’è nell’aria e vola con le sue ali, i paesi stranieri di Siria e di Nubia e la terra d’Egitto” La fine dello scisma atoniano e la rivincita degli dei ignorati o perseguitati, soprattutto Amon, si prepara già negli ultimi anni di Akhenaton: alla crisi contribuì anche la situazione in cui era venuta a trovarsi la potenza egiziana in Asia. La corrispondenza dei sovrani asiatici con Akhenaton mostra che continuavano, almeno nei primi anni del suo regno, rapporti diplomatici amichevoli. Invece un quadro tutto diverso è presentato dalla corrispondenza tra il faraone e i capi e principi siriani, fra i quali si manifesta un certo disagio e una crescente insofferenza per l’autorità egiziana in Siria: alla base c’è sicuramente la mano del re hittita, la nuova potenza minacciosa in Asia, che controlla i movimenti dei ribelli, li coordina e, all’occasione, si appropria delle loro conquiste. La Siria è ora divisa in due partiti: quelli che restavano fedeli all’Egitto come i principi degli stati siriani costieri, Byblos, principalmente, e Damasco, e quelli che speravano di ottenere vantaggi dal cambiamento, fiduciosi nell’appoggio degli Hittiti, come i principi della zona interna. Akhenaton, benché i principi a lui fedeli abbiano chiesto aiuto diverse volte, non ha mai risposto alle loro preghiere. Alla sua morte, l’Egitto è pronto a tornare alla condizione che aveva preceduto il tentativo di riforma religiosa monoteista detta “amarniana”. Tutankhamon Tutankhamon detto anche “il faraone bambino”, appartenuto alla XVIII dinastia, è stato il più giovane faraone mai conosciuto e dopo la morte del “faraone eretico”, la cui storia viene cancellata da tutti i monumenti, così come il culto del suo dio, sale al trono suo figlio, il giovanissimo Tutankhaton (“immagine vivente del dio Aton”), ribattezzato in seguito Tutankhamon, “immagine vivente del dio Amon”. Il piccolo monarca proclama presto il ripristino delle feste e del culto degli dei precedenti al regno del padre e torna a riconciliarsi con il clero. La capitale viene riportata a Tebe, Akhetaton, la capitale del dio Aton, viene depredata e abbandonata per sempre. Tutankhamon sposa la giovane Ankhesenamon, sua sorellastra, regna per circa dieci anni e muore all’età di diciannove anni, nel 1325 a.C., ultimo sovrano della XVIII dinastia. Ay, suo consigliere fidato, ne sposa la vedova, Ankhesenamon, e gli succede nel regno per quattro anni, dopodiché, per volontà del clero, sale al trono Horemheb, primo faraone a non vantare alcuna discendenza regale; era stato infatti generale sotto il regno di Akhenaton e Tutankhamon. Ay AyIl successore del faraone Tutankhamon fu il suo visir, di nome Ay. Non si è ancora certi di come è morto Tutankhamon, ma una delle più accreditate teorie è quella in cui lui viene ucciso da Ay, in qualche modo. Il suo regno durò circa cinque anni, uno dei più brevi della storia dell’Antico Egitto. Si era sposato (come detto nella precedente sezione) con la vedova del faraone suo predecessore, Ankhesenamon. Horemheb La definitiva sistemazione dell’Egitto spetta comunque a Horemheb il quale viene scelto come re dall’oracolo di Amon (in realtà dal suo cedro), come narra egli stesso in una iscrizione. Ancora generale, dopo la morte di Akhenaton, aveva mostrato la sua energia riuscendo a conservare la Palestina all’Egitto con una spedizione fortunata; divenuto faraone, si preoccupa di sanare la deplorevole condizione del paese emettendo un decreto ch’è uno dei più importanti documenti legislativi lasciati da sovrani egiziani. Le misure adottate da Horemheb sono in parte legislative (riorganizza i tribunali, reprime gli abusi e le estorsioni ai danni dei contadini, le requisizioni abusive di schiavi ai privati) e in parte amministrative. Ramessidi Dopo Horemheb, morto senza eredi, si ha un netto cambiamento: i sovrani della XIX dinastia, di cui il fondatore è Ramesse I, gran visir del precedente faraone, non sono di origine tebana, bensì del delta orientale. Ciò spiega anche perché Seth, il dio locale, sia la divinità protettrice dei membri di questo casato. La politica religiosa dei primi tre sovrani della XIX dinastia, è di favorire altre divinità: Ra di Eliopoli e Ptah di Menfi in modo particolare, sì da evitare l’accaparramento del potere da parte del sacerdozio tebano senza tuttavia entrare in conflitto con esso, anzi ufficialmente mostrandosi devoti del dio di Tebe. Sotto il loro comando, l’Egitto conosce un periodo di grande splendore, culturale ed economico. Ramesse II Ramesse II sul tronoDopo due anni di regno Ramesse I muore e al suo posto sale al trono il figlio, Seti I, già co-reggente. Questi regna sull’Egitto per circa diciotto anni. Il suo è un periodo di equilibrio assoluto. Suo figlio e successore è Ramesse II, uno dei più grandi faraoni nella storia d’Egitto. Ramesse dimostra ben presto di essere un ottimo comandante, nei primi anni di regno affronta e sconfigge infatti un gruppo di predoni del mare, denominati Shardana, in seguito inglobati nella sua guardia personale. La sua impresa più memorabile, e senza dubbio la meglio documentata nella storia dell’Antico Egitto, è però la Battaglia di Kadesh, combattuta nei pressi del fiume Oronte, nella quale il faraone affronta l’impero ittita, sotto la guida di Muwatalli II. Benché nessuno dei due contendenti vinca la battaglia, Ramesse farà larghissima propaganda all’episodio presentando la battaglia di Kadesh come una grande vittoria, per il semplice fatto di aver riportato la quasi totalità dell’armata in patria. Il sentimento del pericolo, comune all’impero hittita e all’Egitto nel suo predominio sulla Siria, dell’affermazione della potenza assira in Asia è certamente alla base del trattato di pace tra Ramesse II e Hattusili, fratello e successore di Muwatalli. Il testo dell’alleanza difensiva tra le due potenze era redatto in egiziano e in cuneiforme. A suggello della nuova situazione tra i due paesi si ha il matrimonio tra la figlia del sovrano hittita e Ramesse II. Il faraone non è ricordato solo come grande guerriero ma anche come un instancabile costruttore. Parecchie opere dell’Antico Egitto appartengono a lui o da lui sono state modificate. Si possono ricordare i due templi di Abu Simbel, uno dedicato a sé stesso, l’altro alla moglie Nefertari divinizzata, il Ramesseum, la città di Pi-Ramses, sua nuova capitale. Il suo è uno dei regni più lunghi, Ramesse morì infatti a circa 91 anni, dopo sessanta anni di governo. Padre di numerosi figli, riesce a far salire sul trono solo il tredicesimo, Merenptah, non perché i precedenti non siano meritevoli di tale titolo ma perché semplicemente non erano sopravvissuti a lui. Merenptah e i popoli del mare Il figlio e successore di Ramesse II, Merenptah, deve far fronte a una situazione molto grave, che tocca direttamente l’Egitto, e non più soltanto il suo prestigio nelle zone esterne del dominio egiziano: il pericolo è alla frontiera occidentale dell’Egitto ed è costituito dai Libici che fanno pressione per entrare in Egitto e che portano con sé anche truppe appartenenti ai “popoli del mare”, quelle genti, cioè, della grande ondata indoeuropea che comincia a calare nel Mediterraneo. Della sua vittoria sui Libici e sui loro alleati, Merenptah dà un ampio resoconto in una iscrizione a Karnak e in una stele, nota come “stele di Israele” perché Israele vi figura menzionata nell’inno che conclude questo testo ufficiale: “I re sono abbattuti e dicono: “Pace”, nessuno alza la testa dei Nove Archi: la Libia è devastata, gli Hittiti pacificati, Caanan è distrutta con ogni male, Ascalon conquistata, Gezer è presa, Yenoam annientata, Israele è desolata e non esiste il suo seme. La Palestina è divenuta una vedova a causa dell’Egitto, tutti i paese sono uniti, tutti pacificati”. Ramesse III e la crisi del Nuovo Regno Durante il regno di Ramesse III (che può considerarsi l’ultimo grande sovrano del Nuovo Regno), il Delta egiziano fu di nuovo in pericolo per gli attacchi ripetuti dei Libici, ancora alleati con elementi dei “popoli del mare” e per l’attacco nel Delta Orientale, per terra e per mare questa volta, di orde di “popoli del mare”, ma Ramesse III riuscì a proteggere il confine egiziano. Lunghi testi e scene scolpite sulle pareti del suo tempio funerario a Medineth Habu commemorano gli episodi delle imprese belliche del sovrano e le sue vittorie. Ramesse III riesce a conservare la Palestina, ma dopo di lui l’Egitto non ha più la forza di mantenere la sua supremazia in Asia. La crisi appare infatti evidente verso la fine del suo regno: l’Egitto soffre di una gravissima situazione economica che porta all’inflazione; tra gli operai della necropoli tebana si verificano veri e propri scioperi di protesta per le paghe che non sono date e ancora durante il regno di Ramesse IX è attestato un altro grave sciopero nello stesso ambiente; bande di ladroni depredano le ricche tombe dei faraoni nella Valle dei Re. La progressiva debolezza del potere centrale, i disagi economici, la scomparsa di un vero e proprio impero egiziano, tutto porta alla rovina dell’Egitto, che conosce disordini e carestie finché alla fine della XX dinastia l’unità del regno delle Due Terre si sfascia, quando un debole faraone regna nel Delta, con capitale a Tanis, mentre in Alto Egitto domina Herihor, il quale ha riunito nelle sue mani la funzione di visir dell’Alto Egitto e quella di sommo sacerdote di Amon a Tebe. Terzo Periodo Intermedio (dinastie XXI, XXII, XXIII, XXIV, XXV) Dopo Herihor, l’Egitto entra in una fase decisa di decadenza. La Nubia si stacca dal regno, e a Napata, la città eletta capitale, saliranno al trono sovrani di cultura in qualche modo egiziana che si considereranno eredi dei faraoni. La Libia e la Siria sono ormai sottratte all’influenza egiziana. Anche l’Alto Egitto si separa praticamente dal resto del paese, e si costituisce come stato autonomo dominato dai sacerdoti di Amon. Guerrieri assiriVerso il 959 a.C., dall’ambiente delle colonie militari libiche che negli ultimi tempi sono state accettate in Egitto, sale sul trono del faraone una dinastia libica, la XXII; Tebe e l’Alto Egitto restano in mano al sacerdozio ammoniano. Uno dei sovrani libici, Sesonchis, tenta di riprendere la politica asiatica, ma ben presto il paese ricade nell’inerzia e nella disorganizzazione. L’unità dell’Egitto viene ricostituita intorno al 730 a.C. da sovrani del lontano regno di Kush: appoggiandosi al sacerdozio tebano, Piankhi prima, poi suo fratello Shabaka conquistano l’Egitto, sottomettendo i principi locali che, specialmente nel Delta, erano fortemente indipendenti e bellicosi. La nuova dinastia, la XXV, dà quindi all’Egitto, con l’unità, un nuovo impulso: estremamente pii, i sovrani di Kush restaurano templi e ne edificano di nuovi, e la devozione ad Amon, loro dio, è al centro della loro pietà. La pietà religiosa, venata di un certo arcaismo di tipo ortodosso, porta i sovrani etiopici a prendersi cura dei templi e dei culti antichi. La vera debolezza della XXV dinastia sta nel fatto che la capitale del regno era lontanissima da Kush, dove, dopo la conquista, i sovrani sono ritornati, lasciando libertà di manovre indipendentistiche ai principi locali delle città egiziane. Ma la dissoluzione dell’unità egiziana viene dall’esterno: gli Assiri, la nuova grande potenza assoluta in Asia, penetrano in Egitto e saccheggiando e distruggendo arrivano a Tebe: Assurbanipal riduce l’Egitto a una sorta di protettorato assiro che designa come capi locali i principi egiziani del Delta educati a Ninive. Epoca Bassa Quando l’Assiria conosce però la crisi, l’Egitto, sotto una nuova dinastia, la XXVI, ha di nuovo un periodo d’unità: Psammetico, principe di Sais e vassallo dell’Assiria, si allea con la Libia e caccia gli Assiri dall’Egitto. La dinastia saitica (di origine libica) regna per più di un secolo restituendo al paese un ultimo periodo di rinascita: il potere è accentrato, Tebe è sotto controllo da quando Psammetico I fa adottare come “Divina Adoratrice” la propria figlia, i contatti commerciali ed economici con la Grecia portano all’Egitto vantaggi commerciali ed economici poiché, commerciando adesso con i Greci, gli egiziani sono affrancati nel Mediterraneo dalla necessità di mediazione dei fenici. È piuttosto una politica africana quella che l’Egitto conduce adesso militarmente, in Nubia, a Cirene, e i tentativi di intervento militare in Siria e in Palestina si risolvono in sconfitte. I sovrani saitici assumono largamente mercenari greci, benché questa preferenza sia causa di difficoltà interne per la rivalità tra egiziani e Greci: ma i Greci sono adesso gli alleati dell’Egitto contro la nuova potenza asiatica che minaccia l’equilibrio del Mediterraneo: la Persia. La conquista persiana L’ultimo faraone della XXVI dinastia, Psammetico III, è sconfitto e catturato dal re persiano Cambise, figlio di Ciro, nella battaglia di Pelusio. L’Egitto, con Cipro e la Fenicia, entra a far parte dell’impero achemenide, sesta delle venti divisioni amministrative, o satrapie. La XXVII dinastia comprende Cambise, morto nel 522 in Siria sulla via del ritorno in Persia e, in successione, Dario I, Serse, Artaserse I, Dario II e Artaserse II, che viene riconosciuto in Egitto come faraone almeno fino al 402. Per intensificare i rapporti della Persia con la satrapia d’Egitto, Dario I realizza il raccordo con il Mar Rosso dell’antico canale nilotico che sboccava nel Lago Timsah, l’odierno Ismailia per poi attraversare i Laghi Amari e che in quattro giorni di navigazione permetteva di andare da Bubasti fino al Mar Rosso. Lungo il canale Dario I fa erigere la sua stele celebrativa, di dimensioni colossali con testi geroglifici, cuneiformi ma anche bilingui. Nello stesso spirito si realizza anche la grande statua di Dario I in abito persiano, coperta d’iscrizioni geroglifiche e cuneiformi, scoperta nel 1972 a Susa, eseguita in Egitto e trasferita in Persia probabilmente da Serse. L’Egitto recupera la sua indipendenza in seguito alla guerra condotta da Amirteo di Sais, primo e unico rappresentante della XXVIII dinastia. La guerra è proseguita da Nepherite di Mende, fondatore della XXIX dinastia. L’ultimo faraone dello stato egiziano indipendente è Nectanebo II, della XXX dinastia, al quale si deve una notevole attività edilizia nel Delta. Nectanebo organizza il proprio culto, in vita, sotto le sembianze del dio falco Horo. La sua opposizione ai rinnovati attacchi persiani sono però inutili e, nel 343, vinto da Artaserse III, è costretto a fuggire in Nubia. La seconda dominazione persiana dura appena dieci anni; dopo la battaglia di Isso nella quale viene sconfitto Dario III, l’Egitto è costretto ad essere inserito nell’impero di Alessandro Magno. Arte La costruzione delle piramidi Le tombe che i faraoni delle prime due dinastie avevano utilizzato come sepolcri furono sostituite da un nuovo edificio durante il regno del faraone Zoser: la piramide. La costruzione di questa prima opera derivò dalla sovrapposizione di mastabe, tombe generalmente a forma di piramide tronca, di grandezza decrescente via via che aumentava l’altezza. La figura “a gradoni” simboleggiava la scala attraverso la quale il faraone saliva al cielo. A essa ne seguirono altre e, durante la IV dinastia, apparve la prima piramide perfetta. La prima fase della costruzione consisteva nello scegliere il luogo adatto all’ubicazione; poi si disegnavano le piante e si decideva la quantità di materiale e di personale necessaria. Allora venivano convocati i sacerdoti, per determinare i punti cardinali che avrebbero orientato le facce delle piramidi, delimitare le basi e procedere alla cerimonia del livellamento del terreno. Il faraone doveva eseguire il rituale dell’inizio della costruzione e la cerimonia dell’allungamento della corda, che consisteva nel verificare l’orientamento, nel piantare un piolo in ciascun angolo, nell’iniziare lo scavo di una piccola parte della fossa, nel modellare un mattone e nel porre la prima pietra. Cominciava così la costruzione vera e propria. La durata dei lavori dipendeva dalla grandezza del complesso funerario, che doveva essere pronto al momento della morte del faraone. Dopo aver inaugurato ufficialmente la costruzione si iniziava il primo gradino della piramide. Il lavoro veniva svolto da squadre di operai che ricevevano un salario dallo Stato. Una volta stabiliti i gruppi di lavoro, si procedeva all’estrazione dalle cave della pietra necessaria per innalzare la piramide. Il metodo di estrazione dipendeva dalla durezza. Le rocce molto dure venivano sottoposte a un brusco cambiamento di temperatura. Perciò, prima veniva riscaldata la superficie e poi veniva rapidamente raffreddata, incrinando la massa e permettendo di tagliare la pietra con semplici strumenti dello stesso materiale, o di legno oppure di rame. Un altro metodo consisteva nell’abbassare il terreno, tracciando una rete di piccole trincee fino a raggiungere la profondità adatta all’estrazione. Dopo averli separati, i blocchi della parete della cava venivano deposti sul piano per poi essere trainati ai piedi della piramide. Per evitare che rimanessero incagliati, si spargeva a terra del fango, che permetteva un migliore scorrimento delle slitte. Intanto, altre squadre di operai provvedevano a sollevare i blocchi di pietra, completando così i diversi piani. Come gli Egizi riuscirono a sollevare pietre tanto grandi e pesanti è una questione ancora aperta. Molto probabilmente, come testimoniano i resti trovati nel tempio di Setibtawy, utilizzarono un articolato sistema di rampe, permettendo alle squadre di lavorare senza ostacolarsi. Gli spazi che restavano tra i vari piani venivano riempiti con materiali vari e il tutto veniva ricoperto con pietra calcarea bianca, concludendo così la lavorazione e permettendo al sovrano di riposare nella propria, gigantesca, sepoltura. La Valle dei Re I faraoni del Nuovo Regno scelsero come luogo del loro eterno riposo una valle collocata all’estremità occidentale di Tebe. Fu Jean-Francois Champollion, nel XIX secolo, a dare per la prima volta a questa valle, conosciuta fino ad allora come la Grande Prateria, il nome di Valle dei Re. La scelta di questo luogo non fu casuale: qui l’occidente indicava infatti, secondo le credenze religiose dell’epoca, il regno dei morti. Questa caratteristica funeraria era esaltata dalla presenza di una montagna a forma di piramide che dominava la valle e richiamava alla mente le tombe dei faraoni dell’Antico Regno. La Valle dei Re è un letto prosciugato di un fiume, scavato tra le montagne tebane, il cui corso si biforca in due diramazioni: quella secondaria, occidentale, o Valle delle Scimmie, in cui sono state rinvenute quattro tombe, tra cui quella di Ay e Amenhotep III, e quella principale, che appunto forma la Valle dei Re, nella quale sono state scoperte più di 58 tombe. Questa valle appartata garantiva ai re un riposo tranquillo, assicurato inoltre dalla vigilanza di un corpo speciale di polizia e dalla protezione della dea cobra Meretseger che vegliava sulla sicurezza della necropoli. Il primo faraone che utilizzò questa valle per costruirvi il proprio sepolcro fu Amenhotep I. Durante il suo regno il concetto di complesso funerario cambiò radicalmente; la tomba fu infatti separata dal tempio, costruito vicino alla sponda del fiume o in un’altra valle. Anche la struttura degli ipogei subì delle modifiche nel corso dei secoli. Le piante delle costruzioni funerarie seguivano in genere due modelli: quello della XVIII dinastia, a forma di angolo retto, e quello della XX dinastia, di tipo rettilineo. In entrambi i casi, il sarcofago veniva posto nella sala più profonda e le pareti erano riccamente decorate. La Valle delle Regine Affresco nella tomba di NefertariLa Valle delle Regine sorge nelle vicinanze della Valle dei Re, fra le rocce che sovrastano la piana occidentale di Tebe. In arabo si chiama Biban el-Harim, “porte dell’harem”. Nella valle sono state individuate un’ottantina di tombe, molte mai portate a termine, altre molto rovinate, tutte più o meno delle due ultime dinastie del Regno nuovo, XIX e XX. In essa riposavano, oltre a regine e concubine, anche alcuni importanti funzionari quali ad esempio il già citato Imhotep, Amon-her-khepshef, primogenito di Ramesse II e molti dei suoi figli. La tomba che però più di ogni altra spicca per bellezza è quella appartenuta a una delle più famose regine dell’Antico Egitto, Nefertari, la Grande Sposa Reale di Ramesse II. Questa vasta tomba scoperta nel 1904 dall’egittologo Ernesto Schiaparelli, è collocata nel versante settentrionale della Valle delle Regine e presenta una pianta molto articolata. E infatti diversa rispetto a quella delle tombe di tutte le altre regine (solitamente più semplici e dotate di un’unica camera funeraria) e si ispira piuttosto alle sepolture faraoniche della vicina Valle dei Re. Nelle pareti della seconda scala discendente, la decorazione è anche a rilievo. Al termine del ciclo pittorico, Nefertari si tramuta in Osiride, con il conseguente, auspicato raggiungimento dell’immortalità e della pace eterna. I Grandi Templi Il tempio in Egitto era la “casa di dio”; come in una dimora umana, vi era una parte aperta anche agli estranei, una destinata agli intimi e infine la parte più segreta, dove solo il signore della casa aveva diritto di stare, così lo schema classico di un tempio egiziano, comprendeva un cortile, pubblico, con porticati a colonne, dove poteva accedere anche la folla dei fedeli, mediante un portale monumentale inquadrato da due piloni, aperto nel muro di cinta che proteggeva il tempio; poi, la sala ipostila, dove avevano accesso il clero e gli alti dignitari: qui la luce era scarsa, il soffitto era sostenuto da altissime colonne; dalla semioscurità della sala ipostila si passava all’oscurità assoluta del santuario, la parte più intima e misteriosa, dove, nel suo naos sigillato, abitava il dio, nell’aspetto di una statua preziosa, e dove solo il faraone e i sacerdoti potevano entrare, quando venivano eseguite sulla statua divina le cerimonie del culto giornaliero. Solo in eccezionali ricorrenze e feste la statua del dio lasciava il suo oscuro ricetto, per essere portata in processione, sulla barca sacra (nella quale vi era sistemata una cappella). I templi in miglior stato di conservazione si trovano oggi maggiormente nella zona di Tebe, la “città” per eccellenza. Qui si trova il complesso templare di Karnak, sito architettonico estremamente complicato: nella cinta dei grandi templi era il gran santuario di Amon, la cui grandiosa sala ipostila fu iniziata da Seti I e continuata da Ramesse II, il tempio di Ptah, quello di Khonsu, anch’esso di età ramesside; numerosi blocchi sono rimasti del tempio del sole, dedicato ad Aton, edificato dal faraone Akhenaton prima di abbandonare Tebe; a Karnak vi è anche il “Padiglione delle Feste” di Thutmose III, ritenuto uno dei monumenti più originali dell’architettura templare. Il tempio maggiore di Abu SimbelA Luxor, nel santuario eretto da Amenhotep III, si ammira una fra le più belle sale ipostile dei templi egiziani. A Menphi, capitale dell’Antico Regno, non è rimasto purtroppo nulla se non povere rovine di templi, come il santuario di Ptah. Ad Abido, nella zona meridionale dell’Egitto, è conservato in ottimo stato il magnifico tempio di Osiride, costruito da Seti I e terminato dal figlio di questi, Ramesse II; il tempio ha due sale ipostile e un santuario settuplo. Menzione a parte meritano i due magnifici templi di Abu Simbel, ad opera dell’instancabile Ramesse II, uno dedicato a Ra e al faraone divinizzato, uno dedicato ad Hathor e alla regina Nefertari, adattati magnificamente alla topografia del luogo, un terreno montuoso, e alla natura del materiale scavato, la roccia. Quattro grandi statue sedute del sovrano, alte quasi 21 metri, a gruppi di due, dominano la facciata del primo tempio, il maggiore. Sull’entrata del tempio venne posta una statua di Ra mentre afferra gli altri simboli che compongono uno dei nomi del faraone: una figura di Maat e uno scettro. Il tempio presenta una sala ipostila, dalla quale si accede alla camera che precede il santuario, e un numero elevato di sale secondarie laterali. La facciata orientale del tempio dedicato ad Hator e Nefertari consta invece di sei statue alte circa 10 metri. Quattro di queste rappresentano il faraone e due la sposa Nefertari, cui spettò l’inusuale onore di essere raffigurata della stessa grandezza del re. Scolpite all’interno di nicchie, le sculture hanno la gamba sinistra in avanti; ai lati di ciascuna sono rappresentati principi e principesse. La decorazione interna di entrambi i templi ricorda episodi della celebre battaglia di Kadesh, combattuta da Ramesse II contro gli ittiti. Scultura La grande abbondanza di materiale lapideo in Egitto determinò fin dalle origini una notevole ricchezza di opere scultoree. Nella scultura a tutto tondo o ad altorilievo le figure sono presentate in maniera rigidamente frontale, e sebbene siano talvolata inscenati dei movimenti di braccia e gambe, il risultato è sempre sostanzialmente statico. Grande attenzione viene di solito posta nei volti, con una maggiore delicatezza nella resa del modellato e dei lineamenti. Società Il faraone è il sovrano potente e incontrastato, apice della piramide sociale che regge l’Egitto. Più dio che uomo, incarnazione di Horo, figlio di Osiride, colui che sconfisse il male, rappresentato da Seth, il faraone nasce con l’avvento di Narmer e l’unificazione delle Due Terre sotto un unico scettro. La corona blu “Khepresh”La parola faraone, desunta dalla Bibbia, è però anacronistica per gran parte della storia egiziana. Il termine originario pr-c3 (pronuncia per-‘ao) significa “grande casa” e indicava la residenza reale e venne usato per indicare il monarca a partire da Thutmosis III. Per quanto riguarda i nomi personali sono indicati da una titolatura con cinque nomi, che spesso comprendono lunghi epiteti riferiti ad un programma o ad una realizzazione del re, ad esempio: “Colui che tiene unite le Due Terre”. I sovrani dell’Egitto unito portano la cosiddetta “Pa-sekhemty”, unione della corona “Deshret”, la rossa, simbolo del Basso Egitto, e della bianca, “Hedjet”, simbolo dell’Alto Egitto, poiché signori delle Due Terre Unite. Nel Nuovo Regno e principalmente durante l’epoca del faraone Ramesse II, grande guerriero, il faraone era solito portare il cosiddetto “Khepresh”, la corona di guerra, un casco blu con piccole decorazioni circolari. Queste corone erano tutte accomunate dall'”Ureo”, la dea cobra, protettrice dei faraoni. La burocrazia e gli scribi L’Egitto ebbe la più articolata amministrazione dell’antichità. Agli ordini diretti del faraone c’era una specie di primo ministro, il visir, cui faceva capo l’intero apparato amministrativo: egli controllava la gestione della giustizia, il tesoro e le entrate fiscali, sovrintendeva ai lavori pubblici. Il visir aveva al proprio servizio numerosi funzionari, distribuiti in ordine gerarchico negli uffici centrali e in tutti i distretti del paese. Dato che tutti gli atti pubblici venivano accuratamente registrati e archiviati, gli scribi formavano l’ossatura della burocrazia egiziana: presenti a corte come nei più lontani uffici periferici, nelle esattorie delle imposte, nei campi e censire il bestiame o a misurare i raccolti, avevano un ruolo primario e insostituibile, che garantiva loro prestigio e privilegi. La complessità della scrittura geroglifica richiedeva del resto lunghi anni di studio, e solo pochi la apprendevano. Il faraone, come possiamo vedere sia nelle pitture murali che nei sarcofagi, regge due scettri: il pastorale, Hekat, simbolo del sovrano “pastore del gregge”, e dunque guida, e il Nekhekh, simbolo di potere e fonte di timore per nemici e ribelli. Durante le cerimonie ufficiale si soleva reggere anche il Uas, lo scettro degli dei, un lungo bastone la cui parte superiore aveva la forma di animale mitico. La casta sacerdotale La casta sacerdotale aveva un ruolo importante nella gestione del potere, affiancando i Faraoni e minacciandone a volte la supremazia, basti ricordare lo scontro fra Akhenaton e il clero di Amon. Il sacerdote aveva il compito di officiare i numerosi e complicati riti imposti dagli dei. Poteva inoltre avere l’accesso alla parte più interna del tempio, quella in cui era conservata la statua del dio, dopo preventive pratiche purificatorie. La circoncisione, la rasatura del corpo, l’astensione da cibi come le verdure a foglia verde o i pesci di mare, il divieto periodico di rapporti sessuali (ai sacerdoti era consentito sposarsi) costituivano la regola. L’esercito Durante l’Antico Regno non vi fu necessità di un esercito permanente. Quando vi era bisogno di affrontare un’incursione beduina o la necessità di un bottino, si organizzava una leva; venivano dunque reclutati giovani che, una volta terminata la guerra, tornavano al loro lavoro abituale. Molto più comune era però il reclutamento di mercenari, in particolare Libici e Nubiani. Questi ultimi erano molto apprezzati come arcieri. L’esercito assunse un ruolo importante a partire dal Medio Regno, giungendo al proprio apice nel Nuovo Regno, periodo di grandi spedizioni militari. L’esercito egizio era perfettamente organizzato, e alla guida delle truppe stava sempre il faraone, sul quale ricadeva il comando assoluto. Malgrado questa concentrazione di potere, egli, come avveniva col suo potere religioso, delegava le sue funzioni ai generali. Vi sono però molti faraoni, primo fra tutti Ramesse II, che accompagnavano le truppe in battaglia e spesso combattevano al loro fianco. Le truppe erano composte da corpi di arcieri, di fanteria e di cavalleria, o per meglio dire “carreria”, quest’ultima riservata principalmente agli aristocratici. Spessissimo nelle armate egiziane la truppa sui carri era la più numerosa. Erano carri leggeri, differenti (per esempio) da quelli ittiti, e veloci. Erano spesso usati come truppa di sfondamento negli eserciti egiziani. Sul carro c’era un arciere ma soprattutto un soldato armato di una lunga lancia da guerra. Dei carri egiziani si può dire che costituivano la “cavalleria leggera” dell’armata, appunto perché erano veloci e versatili. Gli egizi avevano conosciuto il carro da guerra dal popolo invasore Hyskos. Funzionari di stato Per amministrare l’Egitto il faraone ricorreva all’aiuto di suoi rappresentanti, con un ampio sistema di funzionari, dei quali il più elevato era il “visir”. Fino alla XVIII dinastia vi fu un solo visir per tutto l’Egitto, ma nel regno di Thutmose III la funzione si sdoppiò e vi fu un visir del sud che risiedeva a Tebe e un visir del nord che aveva la sua sede a Eliopoli. Al visir facevano capo tutte le branche amministrative dell’Egitto ed era inoltre quel che oggi chiameremo ministro della guerra, ministro degli interni, capo della polizia egiziana, ministro dell’agricoltura e ministro di grazia e giustizia. Vi erano comunque molti altri tipi di funzionari come ad esempio i “grandi maggiordomi”, dediti ad amministrare le terre di proprietà del faraone, comandanti militari, architetti reali, come ad esempio il famoso Imhotep che venne divinizzato dopo la morte e, tra i funzionari meno conosciuti, i sementi, addetti alla ricerca dell’oro e pietre preziose. L’Egitto riusciva inoltre a conservare la propria economia grazie all’aiuto di funzionari, trascrittori di tutte le derrate alimentari, delle importazioni e delle esportazioni, del numero di capi di bestiame, di vino o altri prodotti che entravano nei magazzini: erano gli scribi. Chiunque poteva diventare scriba, sebbene generalmente fosse un mestiere che veniva tramandato di padre in figlio. Durante l’Antico Regno era lo scriba a insegnare personalmente al proprio figlio; tuttavia, a partire dal Medio Regno, in alcune città comparvero le prime scuole degli scribi dette “case della vita”. I bambini vi entravano all’età di quattro anni e il loro apprendistato finiva verso i dodici. Iniziavano copiando frammenti di calce o ceramica, o di legno ricoperto di gesso, dato che il papiro era un materiale molto costoso. Oltre a saper scrivere dovevano anche conoscere le leggi e avere nozioni di aritmetica per calcolare le imposte. Questa casta era talmente importante da avere una propria divinità tutelatrice: il dio Thot. Questi, rappresentato sia come babbuino che come ibis, nel poemetto imprecatorio scritto da Ovidio, era ritenuto inventore della scrittura e del calendario, scriba supremo, presenziava personalmente alla cerimonia del giudizio dell’anima, trascrivendo le dichiarazioni come in un qualsiasi processo. Il popolo La massa della popolazione era formata principalmente da contadini che lavoravano per i privati, o per i domini regi o i templi, con un contratto di lavoro, registrato in un ufficio statale, che definiva esattamente le prestazioni cui i lavoratori si impegnavano e alle quali i datori di lavoro dovevano attenersi, a rischio di essere citati ai tribunali locali; c’erano inoltre gli affittuari, che prendevano a lavorare, con un contratto scritto, una certa terra pagando un tanto. C’erano poi gli operai dello stato, addetti alle cave e alle miniere. C’era anche la classe artigiana, essenzialmente urbana, formata da gente libera: falegnami, lavandai, fornai, vasai, muratori. C’erano i commercianti e, soprattutto nelle città del Delta, c’erano i marinai, che esercitavano il commercio marittimo verso Creta, Cipro, il Libano, esportando e importando. C’era anche un’altra classe, la più bassa, formata da persone che appartenevano al re o ai templi, o ai privati: uomini addetti soprattutto al lavoro dei campi e donne addette specialmente alle case. Agricoltura Il contadino egizio dedicava gran parte della giornata a curare i campi e a difenderli dalla siccità e dalle calamità. Arava e seminava il terreno in autunno, quando non era ancora impregnato d’acqua, in modo da poter utilizzare al meglio i primitivi strumenti di cui disponeva. Il successivo compito era quello di curare l’irrigazione dei vari appezzamenti, dal momento che l’abbondanza del raccolto dipendeva dall’acqua che vi arrivava; doveva quindi sorvegliare che le dighe e i canali portassero regolarmente acqua ai campi. Nei luoghi dove non era possibile far arrivare l’acqua.